Ci sono momenti che rimangono impressi nella nostra mente per aver attirato e colpito non soltanto la nostra attenzione, ma anche la nostra coscienza. In quel giugno del 1983 avevamo appena 21 anni, frequentavamo la facoltà di Scienze Politiche dell'Università La Sapienza di Roma e, nel pomeriggio, ci recavamo sistematicamente allo stadio delle Terme di Caracalla per gli allenamenti di atletica leggera. Nel ritorno, spesso ci fermavamo alla storica e mitica pizzeria Frontoni dove, affamati come non mai, ordinavamo la focaccia fresca e croccante infilandoci in mezzo quello che volevamo. Erano anni di spensieratezza, almeno per noi, anche se non mancavamo di porci delle domande. Non ci erano sfuggiti, eravamo quasi all'inizio dell'estate anche se a Roma l'estate comincia a fine aprile e a volte anche prima, quei manifesti che avevano tappezzato tutta Roma e in cui si annunciava la scomparsa di una quindicenne, Emanuela Orlandi. Non era la prima e, a dire il vero, non fu neanche l'ultima. Gli anni di piombo erano (quasi) terminati, ma la memoria era ancora fresca e ricordavamo bene quello che era avvenuto.
Da allora finimmo per incuriosirci e, soprattutto quando diventammo cronisti di nera e non solo, per appassionarci ad una storia che puzzava lontano un miglio, ma sulla quale nessuno sembrava riuscire a fare luce. Emanuela Orlandi, figlia di un cittadino abitante e dipendente della Santa Sede, era sparita nel nulla e, come sempre accade nei casi che si rispettino, non mancavano depistaggi, falsi allarmi, speculazioni. L'unica cosa certa era che la ragazza non si trovava.
Col tempo e cogli anni diventammo veri e propri esperti della vicenda pur senza mai occuparcene professionalmente. Avevamo lasciato Roma e, inoltre, ci dedicavamo alle nostre biografie. Solo una quindicina di anni fa, anno più, anno meno, ci imbattemmo sulle dichiarazioni di Sabrina Minardi, la ex moglie di Bruno Giordano, il centravanti della Lazio, che era stata la donna del boss della banda della Magliana Renato De Pedis e una luce squarciò il buio della storia. Era chiaro che le dichiarazioni di Sabrina Minardi avevano un fondamento, sarebbe bastato prenderla, curarla visto che non stava bene, farsi raccontare le cose per bene, farsi accompagnare nei posti in cui aveva vissuto anche lei questa vicenda e tutto sarebbe stato chiaro. Invece no. Ancora una volta la giustizia viaggia secondo tempi e su binari che non si incontrano mai. Il risultato è stato che dopo 42 anni stiamo ancora brancolando nel buio. Con una commissione d'inchiesta che, perdonateci l'ardire, come tutte le commissioni d'inchiesta si muovono sì, ma non concludono niente, Ne abbiamo avuto diretta esperienza personale.
42 anni appunto, questo il tempo trascorso da quel 15 giugno 1983. E 42 si intitola il docufilm corale realizzato dai parenti più stretti di Emanuela (il fratello Pietro, da sempre paladino di una battaglia feroce di ricerca, le nipoti Elettra che ha curato la regia e Rebecca che ha scritto la bellissima canzone finale Mantello di Quercia) e la giornalista Alessandra De Vita. Lo abbiamo visto e lo facciamo vedere anche a vi. Merita, davvero, come e più di un film. E' una storia d'Italia che attraversa due secoli e tante, tantissime menzogne.



