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Insicurezza e degrado al rione Esquilino, da Roma con... dolore: "Sommersi dalla sporcizia e dalli immigrati"
Direttamente dalla capitale un gruppo di abitanti di uno dei quartieri storici scrive al nostro giornale e, indirettamente, al generale Roberto Vannacci. Si tratta di un vero e proprio grido di aiuto fino ad oggi inascoltato dalle autorità

Riunione federale della Lega, nessun provvedimento né azione contro Vannacci: "Il generale un valore aggiunto"
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento inviatoci da un esponente di 'Leghisti per la propria terra'

"Adesivi in città contro i Comics, perché non organizzare un dibattito pubblico?"
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera significativa e, a nostro avviso, meritevole di attenzione per il modo pacato con cui prospetta alcune problematiche e per l'assenza di una visione ideologica e di sinistra

«Sono piombato nel più profondo dolore per l’uomo che più amavo e stimavo». Napoleone Bonaparte
Nel cuore della pianura di Marengo, all’alba di sabato 14 giugno 1800, iniziò la grande battaglia della seconda campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte, volta a liberare l’Italia dagli austriaci

Giochi di casinò vintage: un viaggio elegante nel tempo
Nel frastuono scintillante dei casinò online moderni, tra slot futuristiche e realtà virtuale, permane un fascino intramontabile: quello dei giochi di casinò vintage. Pensate al glamour delle sale da gioco…

Divampa la protesta per la viabilità sulla via per Camaiore: "Traffico allucinante per colpa della nuova rotatoria al Foro Boario"
Ogni mattina la situazione della viabilità a Monte San Quirico è insostenibile e molti danno la colpa alla nuova rotatoria realizzata all'altezza del Foro Boario. Code interminabili, inoltre, da via per Camaiore-Monte S. Quirico

Il Volto Santo com'era all'origine e come, ora, non è più
Non ho le competenze né tantomeno l'autorità per proporre l'interpretazione del significato di questa operazione culturale davvero coraggiosa. Allo stesso tempo, mi sento libero di condividere alcune mie prime prime e personali riflessioni

Come riconoscere un ambiente di gioco affidabile e ben strutturato
Chi entra in una piattaforma di gioco desidera subito capire con chi ha a che fare. Un ambiente serio mette in chiaro ogni regola, senza frasi ambigue o passaggi nascosti nelle note in fondo alla pagina

La berlina di Napoleone: tra lanterne, libri e battaglie
Una delle caratteristiche peculiari e vincenti della tattica di Napoleone Bonaparte sui campi di battaglia fu la rapidità d’azione. Proprio per questo, nei suoi viaggi e spostamenti, utilizzava una carrozza accuratamente organizzata

Que se passe-t-il avec le bonus actif lorsque vous changez la devise de votre compte dans un online casino?
Lors de l'inscription à un casino en ligne, l'utilisateur choisit généralement la devise principale de son compte. Mais il arrive parfois qu'il soit nécessaire de la remplacer par…

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa riflessione della professoressa Michela Stefani in merito alla didattica a distanza nelle scuole.
"C’è chi mette le mani avanti per chiarire che la didattica a distanza non deve “diventare un’abitudine”. Escluso che qualcuno possa diventare migliore dopo una pandemia, che semmai esaspera caratteri e difetti, il sistema scolastico, fatto da individui che non miglioreranno, d’accordo, avrà la grande opportunità, in questi casi si dice storica, di riflettere sull’esperienza della didattica a distanza resa necessaria dalla chiusura delle scuole.
Qui di seguito alcune considerazioni personali e soggettive, se non condivise ancora meglio, corroborate comunque dall’esperienza diretta, che non guasta, con il solo intento di tentare una lettura, provvisoria, sulla formazione al tempo della reclusione forzata.
Parlare della scuola dovrebbe essere un costante “primo punto” all’ordine del giorno, perché è discutere in pratica dell’Italia intera, in quanto sono circa 10 milioni le persone coinvolte direttamente nel sistema, con il corollario delle famiglie e delle amicizie, per cui il tema riguarda realmente la collettività e si configura davvero come pubblico.
Parlare di scuola, poi, non può prescindere da teorie e valori di riferimento, in quanto ogni buona pratica discende da un’idea di formazione, individuo, società, crescita, democrazia. Insomma, l’esperimento inusuale e inatteso della didattica a distanza potrà dare indicazioni fertili e costruttive sulla scuola futura che riaprirà, speriamo a settembre, le porte agli studenti.
Iniziando con un paradosso, ma non troppo, insegnare in digitale è come andare in piscina a distanza, senz’acqua. Questo per dire che la scuola “da lontano” è, tecnicamente, un ossimoro, una coppia di contrari, due entità che si escludono, perché l’insegnamento, cioè che lascia-un-segno, si attua in relazione, contatto, dialogo, abitudine, ripetizione, rinforzo, sostegno, reciprocità, sguardi scambiati, malintesi, “ma i termosifoni oggi non vanno?”, arrabbiature, solitudini mitigate.
Quindi, detto subito che la tecnologia ha avuto una fondamentale funzione in questi mesi di lontananza per tenere almeno i contatti con gli allievi e fare comunque (video)lezioni utili per un ripasso o segnalibro del programma, e detto che gli accessori informatici possono essere e saranno ancora molto utili per completare la didattica in presenza, ecco, la risposta c’è già: l’aggiunta digitale è opzionale, eccedente, ottima e rapida, ma non primaria. È sufficiente fare una banale prova del nove: se la classe virtuale funziona così bene, perché non dovrebbe diventare la regola? Perché ai docenti non sostituire – stabilmente – video prefatti, tutorial (come tocca parlare), piattaforme parlanti e informanti, dati uguali per tutti, sulla carta asetticamente democratici? Perché, è la risposta, la scuola è vita che si applica, non un’applicazione. Si applica alla pelle di chi insegna e di chi apprende (e sarebbe bello si scambiassero anche i ruoli), aderisce a delle persone – adesivamente, se sa fare il proprio mestiere. Con un’applicazione umana, troppo umana, che può sbagliare, che deve sbagliare, ma dal vivo, sul vivo, nel vivo, perché la scuola è, da ambo i lati, esperienza con cui si formano i ricordi e si accompagnano le persone. (Che meravigliose, indelebili minutaglie, impressioni remote di un quotidiano senza tempo, quel maglione slabbrato e dal colore atroce, quella cravatta da denuncia alla buoncostume, i tic, la battuta ripetuta all’infinito senza far ridere, il compagno beccato sulle punte per la foto di classe, la ragazza sfuggente per sempre, allora e ora, pazienza, e tutto il resto, non replicabile, che non tornerà più….).
Allora l’avvertenza, al rientro, sarà di verificare la portata e il controllo della virtualità degli schermi perché l’apprendimento più efficace passa attraverso penna, concentrazione e sudate carte e perché, purtroppo, questa didattica suppletiva ha smascherato le differenze sociali e di possibilità economiche e culturali (due dati in evidente contraddizione: “partita per tutti la scuola online” e “il 30% delle famiglie italiane non possiede un pc”), le stesse che la scuola è chiamata a limare. Ultimo e non ultimo, le alunne e gli alunni diversamente abili hanno pagato lo scotto maggiore, e questo proprio non è giusto. Vedremo, non certo per nostalgie passatiste (quali?), ma per preservare l’autentico della scuola che la nostra gioventù merita, per diventare meglio. Qualche passo indietro per riprendere il cammino. Vuoi vedere che l’epidemia che non migliorò nessuno, cambiò la scuola?"
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Alcuni anni fa una giornalista molto in voga in quel di Viareggio, dipendente del quotidiano Il Tirreno, presentò un esposto contro di noi all'ordine dei giornalisti per un titolo nel quale avevamo adoperato, a proposito di un arresto, il vocabolo marocchino. Fummo, così, sottoposti a procedimento disciplinare che si concluse, se non erriamo, con l'archiviazione. Alla faccia della collega che non aveva avuto nemmeno il coraggio di avvisarci, ma noi, grazie ai nostri contatti umani, fummo regolarmente avvertiti.
Pensavamo a questo, questa mattina, leggendo la locandina acchiappacitrulli del Tirreno in versione lucchese. Corruzione Indagato un carabiniere recitava il titolo. Ci siamo sentiti morire e abbiamo pensato cosa avremmo detto ed, eventualmente, anche fatto qualora fossimo stati uomini dell'Arma. Sicuramente, se fossimo stati il comandante provinciale o anche regionale o qualcosa del genere, avremmo fatto molta fatica a digerire un rospo del genere.
E pensare che non passa giorno senza che i cronisti del Tirreno, come quelli di tutti gli altri giornali, da sempre, si raccomandino agli ufficiali di Cortile degli Svizzeri o a quelli di Castelnuovo Garfagnana per sapere se ci sono notizie da pubblicare pardon, sparare in prima pagina.
L'operazione a cui fa riferimento il giornale livornese che, a quanto ci risulta , vende meno di 30 mila copie al giorno - quando arrivammo alla Nazione nel lontano 1989 ne vendeva oltre 120 mila - aveva, a quanto pare, altri 26 indagati per reati di varia natura tutti compresi in quello dell'associazione a delinquere, tra politici, amministratori pubblici, parenti, imprenditori. Eppure, guarda caso, il giornale ha ritenuto di mettere in risalto sulla locandina la figura di un carabiniere.
Bene attenti, soltanto indagato e ci pare strano che un quotidiano così garantista e buonista come Il Tirreno, fratello stretto di Repubblica, spari ad alzo zero sulla figura del militare che non è nemmeno, ancora, stato rinviato a giudizio. Misteri della fede, evidentemente. La loro.
I boldriniani e tutta la sinistra sostenitori della grande sostituzione etnica, dell'arrivo indiscriminato di milioni di clandestini dal quarto, quinto, sesto e anche settimo mondo, hanno fatto sì che noi giornalisti non potessimo più usare certi vocaboli perché giudicati, dal Pensiero Unico Dominante e da questa razza di razzisti alla rovescia senza senso né buonsenso, inadatti e decisamente ingiuriosi nei confronti di coloro ai quali erano appioppati fino a qualche tempo fa.
Così, parole come marocchino, zingaro, clandestino sono state vietate con la complicità dei giornalisti leccaculo che non conoscono autonomia dalla politica soprattutto se dipinta di rosso.
I quotidiani, tutti indistintamente e salvo rare eccezioni - come la nostra - hanno smesso di inserire nei titoli e nel testo la provenienza geografica dell'autore del reato poiché il farlo significherebbe, per i soloni della demenza unificata, gettare discredito su tutto un popolo. Non siamo d'accordo, ovviamente, ma sarebbe giusto che la regola valesse erga omnes, ossia nei confronti di tutti e non soltanto degli immigrati. Ad esempio, fare come ha fatto il quotidiano di via S. Croce, ossia sputtanare genericamente un carabiniere, è esattamente come si sputtanasse un immigrato, un marocchino o di altra nazionalità.
Eppure, in questo caso non è stata adottata la stessa metodologia e, anzi, si è pigiato sul fatto che tra 30 indagati c'è anche un carabiniere. E cosa vuol dire? Cosa sottintende questo messaggio? Poteva essere un poliziotto e sarebbe stata la stessa cosa come è già avvenuto. Ma mai abbiamo visto lo stesso metro di giudizio adoperato per le migliaia di spacciatori o criminali extracomunitari che, se fosse per noi, dovrebbero essere presi a calci nel culo, accompagnati sulle spiagge e fatti tornare nei loro paesi a nuoto visto che anche l'esercizio fisico è, sempre e ancora di più dopo due mesi di Covid-19, salutare.
Il nostro vecchio caposervizio, Paolo Magli, che al Tirreno era stato prima di saltare sulla Nazione, ci rimproverava di non leggere mai, la mattina, i giornali cittadini, ma, sinceramente, a noi che aspiravamo a qualcosa di più, ci bastava averlo fatto, la Nazione, mentre il quotidiano rivale non lo degnavamo nemmeno di uno sguardo se non per gli articoli dell'unico giornalista che, ancora oggi, è tra i migliori in circolazione: Luca Tronchetti.
Oggi, a distanza di 30 anni, anche solo sfogliare le pagine del giornale livornese, a noi che a Livorno ci siamo nati e, in parte, cresciuti, ci fa venire l'itterizia e, quindi evitiamo accuratamente. Tuttavia le locandine di fronte alle edicole non possiamo far finta di non vederle e questa volta - e non è la prima - non potevamo restarcene zitti.


