Cultura
Per Pianostrada il concerto di Natale con la Scuola di Musica Sinfonia
Giovedì 18 dicembre alle 18 con "Un Coro Molto Bello & Piccoli Ensemble" la bella musica a Mandorla

Il 'biondino' del Caffè di via Fillungo: quarta giornata di studi 'Alfredo Caselli'
Alfredo Caselli era l’ultimo erede di una dinastia che possedeva lo storico omonimo Caffè in via Fillungo, nato nel 1846. In origine si chiamava Antico Caffè Caselli e…

Lancio di una nuova mostra alla Fondazione Ragghianti:_Emilio Malerba (1878-1926). Dagli esordi al Novecento Italiano
A cent’anni dalla morte del pittore e a quasi un secolo dall’ultima mostra monografica a lui dedicata, la Fondazione Ragghianti presenta milio Malerba (1878-1926) - Dagli esordi al Novecento Italiano

Il babbo di Pinocchio svelato ai più
Assolutamente tempestiva la pubblicazione dell’ultimo lavoro di un valente storico lucchese, Roberto Pizzi, che con Carlo Lorenzini. Il “padre” di Pinocchio

'Verso Turandot', il primo appuntamento con Emiliano Sarti al teatro San Girolamo
Prende il via giovedì 18 dicembre (ore 18, Teatro San Girolamo), con la conferenza di Emiliano Sarti dal titolo “Un viaggio nella fiaba di Turandot prima di Puccini”,…

Restaurate 19 foto inedite di Giacomo Puccini provenienti dell'archivio di Luigi De Servi
Sarà presentato venerdì 12 dicembre alle ore 17.00 nell'Auditorium della Fondazione Banca del Monte di Lucca, in piazza San Martino a Lucca, il restauro dei preziosi materiali fotografici inediti riguardanti Giacomo Puccini provenienti…

Teatro Comunale di Pietrasanta, al via la stagione di prosa 2025/2026: debutto sold-out con “Il medico dei pazzi”
Pietrasanta si prepara ad accendere i riflettori sulla Stagione teatrale 2025/2026 del Teatro Comunale “Cesare Galeotti”, cartellone confezionato, promosso e realizzato dalla Fondazione Versiliana con la direzione artistica di Marco Marchesi insieme a Fondazione Toscana Spettacolo…

In aprile a Lucca il violoncello Stradivari appartenuto a Luigi Boccherini
Il plauso di Marsili (Fondazione CaRiLucca) e Pardini (Comune di Lucca) per un evento davvero significativo per la città

Geppy Gleijeses protagonista de 'Il fu Mattia Pascal' da Luigi Pirandello per la regia di Marco Tullio Giordana
Dal romanzo di Luigi Pirandello, Geppy Gleijeses porta in scena Il fu Mattia Pascal (sabato 13 ore 21 e domenica 14 dicembre ore 16 e ore 21) nel libero adattamento firmato con il regista Marco Tullio Giordana

La Società dei Lettori - Francesca Duranti porta a Lucca "Il paese dei matti" di Federica Iacobelli
La Società dei Lettori - Francesca Duranti porta a Lucca "Il paese dei matti" di Federica Iacobelli, selezionato per l'assegnazione del Premio dei Lettori Lucca-Roma 2026. Appuntamento martedì 9 dicembre a Villa Rossi (Gattaiola, Lucca)

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A poco più di un anno dall’inaugurazione dopo i lavori di restyling, il Palazzo Guinigi si conferma polo culturale di grande attrattività, che guarda con grande interesse non solo alla ricchezza dell’arte locale, ma anche a quella nazionale e sovranazionale: il 18 luglio aprirà infatti una grande retrospettiva dell’artista Antonio Bueno. Fortemente voluta dall’assessorato alla cultura del Comune di Lucca, la mostra, con oltre novanta opere, consentirà a tutti i visitatori di entrare in contatto con il profondo e articolato percorso artistico e umano di Bueno. Un progetto prodotto dall'Associazione Culturale Bueno, in collaborazione con AG Art Gallery di Alessandro Giusti. La mostra curata da Maria Isabella Bueno, figlia dell'artista, e da Stefano Sbarbaro rientra nella programmazione di Vivi Lucca Eventi 2025 ed è patrocinata dalla Regione Toscana, dalla Provincia di Lucca e dal Comune di Lucca; si avvale dei contributi di Propilei Immobiliare, Banca Cambiano e Orler Gallerie D'Arte.
Attraverso un percorso di oltre novanta opere provenienti di importanti musei nazionali e prestigiose collezioni private e partendo dal nucleo cospicuo di lavori di proprietà degli eredi dell’artista che mettono inoltre a disposizione un ricco florilegio di foto e di documenti in parte inediti, la mostra prende in esame tutta la produzione di Antonio Bueno approfondendone i passaggi più significativi, i cambi di direzione e le evoluzioni stilistiche. Nelle sale al terzo piano di Palazzo Guinigi si dipana così un lungo e imprevedibile periplo creativo che intende mettere in evidenza quell’unità profonda e quella matrice generativa da cui si sviluppano traiettorie coerenti e costanti, che procedono lungo un progressivo raffinamento formale fondato sull’equilibrio di linee pure e forme essenziali. Il progetto espositivo ripercorre dunque il sorprendente e imprevedibile cammino artistico di Antonio Bueno, figura originale e centrale nel clima artistico della seconda metà del Novecento che proprio per la sua versatilità ed ecclettismo può considerarsi un precursore per certi versi delle tensioni e delle contraddizioni dell’estetica postmoderna. Il gusto per la citazione e la parodia con cui l’artista celebra ironicamente gli stili del passato unito alla capacità di ibridare cultura alta e popolare, ne fanno un pittore di grande modernità che oggi è possibile rivalutare appieno proprio nella complessità del suo percorso. Con questa mostra non si intende soltanto rendere omaggio a un protagonista della storia contemporanea dello stile e del gusto in Italia, ma si vuole riaffermare l’attualità della sua eredità artistica. In un’epoca dominata dall’urgenza della novità e dall’estetica della provocazione, Antonio Bueno ha saputo fare della pittura figurativa uno strumento di resistenza culturale: un linguaggio consapevole, ironico e colto, capace di interrogare il presente senza cedere all’effimero. La sua opera, libera dalle mode eppure profondamente radicata nel suo tempo, continua a parlare al nostro sguardo contemporaneo con sorprendente freschezza e lucidità.
Nel panorama dell’arte italiana del secondo dopoguerra, Antonio Bueno (Berlino, 1918 – Fiesole, 1984) rappresenta una figura singolare e fuori dagli schemi, dal percorso imprevedibile e sfuggente, capace di confrontarsi con le correnti del proprio tempo senza però lasciarsi travolgere dai linguaggi e dagli imperativi delle avanguardie. Pittore colto e raffinato distante dalle mode e dai conformismi artistici, Bueno ha condotto la sua traiettoria spesso in termini dissonanti lungo una linea evolutiva apparentemente eccentrica, ma sempre lucida e coerente. Lontano tanto dalle posture ideologiche quanto dalle retoriche dell’innovazione e della sperimentazione a tutti i costi, Bueno riscrive lungo la sua carriera la storia dell’arte per frammenti, citazioni ed ironiche parodie.
Giunto in Italia da Parigi nel 1940 assieme al fratello Xavier, anche lui pittore, dimostra fin dagli esordi fiorentini durante gli anni della guerra un’assoluta abilità tecnica e una conoscenza approfondita della tradizione pittorica e degli antichi maestri, che ha modo di studiare attraverso il rapporto diretto con i capolavori e le testimonianze artistiche conservate nelle chiese e nei musei del capoluogo toscano. Influenzato dal fratello maggiore, più incline a celebrare le proprie origini spagnole, dimostra dapprima un certo interesse verso la lezione seicentesca di Velázquez e di Zurbarán che ben presto muta in favore di una visione cromatica più oggettiva e lenticolare, ispirata dai fiamminghi e dalla pittura rinascimentale italiana.
A partire degli anni Cinquanta, dopo la chiusura della controversa e anti-avanguardista vicenda dei Pittori Moderni della Realtà condivisa assieme al fratello e ai pittori Gregorio Sciltian e Pietro Annigoni, Antonio intraprende un percorso di affrancamento stilistico in cui emergono le ascendenze dechirichiane reinterpretate in termini personali in una fortunata produzione neometafisica caratterizzata da composizione limpide e terse in cui l’artista rappresenta su fondali dalle campiture piatte e omogenee iconiche pipe in gesso, ricorrenti nell’intera produzione di Bueno, sospese su esili ed essenziali strutture prospettiche. La luce abbacinante e zenitale di questi dipinti rievoca le atmosfere assolute di Piero della Francesca citato apertamente attraverso la presenza di uova, simbolo geometrico naturale di armonia e di equilibrio formale.
Negli anni Sessanta, Antonio Bueno visse un periodo di intensa e irrequieta sperimentazione cercando la collaborazione con altri artisti e partecipando attivamente alla nascita di gruppi e di movimenti. Tra il 1959 e il 1962 si dedica ai monocromi, utilizzando una particolare tecnica ad impronta con tamponi di spugna, punto di massima distanza dalla estetica figurativa che l’artista comunque non arriverà mai a rinnegare. Questa fase circoscritta è un momento di rinnovamento della sua produzione che culmina in un’occasionale collaborazione con Scheggi e Manzoni nella prima mostra italiana di pittura monocromatica. Nel 1959 fonda, con Loffredo, Berti, Nativi, Ricci e Moretti il gruppo Nuova Figurazione, con cui promuovere l’avanguardia fiorentina, sostenuto da critici come Giulio Carlo Argan. Nel 1963 è tra i fondatori del Gruppo 70, esperienza di carattere neodadaista orientata a una ricerca artistica transdisciplinare e multimediale ispirata alla cultura di massa, in dialogo con la pop art e influenzata dai linguaggi pubblicitari e fumettistici. Emblematica di questo periodo è Preistoria Contemporanea, una sorta di fondale scenico utilizzato in occasione di spettacoli, performance e happening del gruppo, un’opera fruibile ma che non si può possedere, con cui Antonio Bueno formula una critica aperta alle contraddizioni delle moderne avanguardie rompendo il legame tra arte e collezionismo borghese.
Alla fine degli anni Sessanta, Antonio Bueno abbandona polemicamente le sperimentazioni avanguardiste per ritornare ad una forma di figurazione ironicamente pompieristica che lui stesso definisce neo-kitsch o di neo-retroguardia. Negli ultimi vent’anni della sua carriera, anche grazie a un grande successo di mercato, il suo repertorio si definisci ulteriormente rendendosi riconoscibile attraverso soggetti iconici come dame, toreri e bambini vistiti da marinaretti. Un’icastica galleria di personaggi perturbanti che l’artista reitera con disarmante spirito di invenzione, declinati in pose prevalentemente frontali e talvolta di profilo a mezzobusto o in piano americano per i formati più grandi. Figure silenziose dai volumi semplificati, deformati e tondeggianti, i cui sguardi ingenui e infantili sono portatori di sensazioni ambigue e stranianti. Accanto a questa produzione si sviluppa sul medesimo registro stilistico la serie dei celebri d’après che reinterpreta con raffinata ironia i grandi maestri del passato come Ingres, da lui considerato un punto di riferimento assieme a de Chirico, Leonardo, Caravaggio, Picasso e Klee, scegliendo tra i loro dipinti quelli maggiormente sedimentati nell’immaginario collettivo. Negli ultimi anni di vita Antonio Bueno riceve importanti riconoscimenti: la sua città lo celebra ancora un’ultima volta nel 1981 con una mostra antologica nella prestigiosa sede di Palazzo Strozzi, e nel 1984, nell’anno della scomparsa, alla Biennale di Venezia trionfano i suoi ultimi e irriverenti d’après che sono da considerarsi come l’apice della sua maturità artistica.
Biografia dell’artista
Antonio Bueno nasce a Berlino nel 1918 da Hannah Rosianskaja e dal giornalista scrittore spagnolo Javier Bueno, corrispondente del quotidiano ‘ABC’ di Madrid. Dopo l’infanzia trascorsa in Spagna si trasferisce con la famiglia a Ginevra, frequentando il liceo e l’Accademia di Belle Arti ed esponendo a venti anni al ‘Salon des Jeunes’ di Parigi. Nel gennaio del '40 arriva a Firenze assieme al fratello Xavier, città dove rimarranno entrambi per tutta la vita. Agli inizi il suo stile è influenzato dal Rinascimento fiorentino e dai fiamminghi e la sua pittura è molto realistica e finita; successivamente si allontana dal realismo per sperimentare altre correnti ed altri stili: iniziando dall’astrattismo in collaborazione con Numero, rivista d'avanguardia di Fiamma Vigo, approda a visioni metafisiche mediante composizioni di pipe di gesso e gusci d’uovo (nel 1958 mostre a New York, Los Angeles e San Francisco). Negli anni Sessanta Bueno sarà tra i protagonisti e promotori dei movimenti della avanguardia fiorentina, come il Gruppo Settanta, sperimentando diverse tecniche espressive, quali arte-spettacolo e audio-pittura. Dal 1969 torna definitivamente alla figurazione, dando vita ad una iconografia particolare di volti femminili, di marinaretti e di toreri, soggetti che continueranno negli anni fino alla ultima stagione dei d’après. E proprio nel pieno di quella fortunata fase creativa, l'artista muore a Fiesole il 26 settembre 1984.
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Non ci eravamo mai imbattuti, nel corso del nostro lungo iter pubblicistico storico, in un libro che affrontasse tematiche religiose. Così, è stato con un misto di curiosità e anche, perché no?, scetticismo, che ci siamo avvicinati ad un libro scritto da una persona che conosciamo da anni, Sergio Mura, attivo da anni nella Misericordia di Lucca e nel volontariato, nonché grande appassionato della storia di Lucca, di quella medievale e religiosa. Ed è con sincera ammirazione che abbiamo letto il suo Il convento di San Cerbone, edito da Maria Pacini Fazzi e dedicato alla struttura antica e ben conservata che si trova sulle colline sovrastanti la frazione di Massa Pisana a due passi, peraltro, da dove viviamo noi in quel di Gattaiola.
Si tratta di un volume in cui domina la figura di San Cerbone, un santo originario dell'Africa poi arrivato in Italia e, in particolare, sulla costa del Golfo di Baratti dove era viva e vegeta la diocesi di Populonia, località meravigliosa e affascinante che non si può non visitare e che si trova a picco sul mare. Personaggio carismatico e di grande spessore umano questo Cerbone, il cui culto si diffuse in altre zone dell'Italia centrale a partire dai territori di Siena per giungere sino a Lucca e anche oltre.
A Lucca il convento di San Cerbone accolse prima le monache e, successivamente, i religiosi dell'altro sesso. Mura ripercorre la storia del convento dalle sue origini fino ai giorni nostri passando, anche, per gli anni del secondo conflitto mondiale a seguito dei quali subì parecchi danni oltre a dover consegnare al Governo in cerca di materiale ferroso, le campane del campanile. E lo fa con tanto di nomi e cognomi e gesta. Così, anno dopo anno, decennio dopo decennio, secolo dopo secolo, ecco svolgere davanti ai nostri occhi la storia di una struttura cara ai lucchesi anche se riservata, con quel suo essere votata alla contemplazione e alla preghiera e attualmente gestito dalle suore Figlie di S. Francesco di Sales che lo acquistarono nel 1961 dopo averlo avuto in affitto nei primi anni Cinquanta.
Un libro, in sostanza, che sorprende e rende edotti su una parte di umanità che ha scelto di ritirarsi dalla vita... terrena per votarsi allo studio e alla riflessione su tutto ciò che la sovrasta.
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