Politica
I gruppi consiliari e le forze politiche del centrosinistra denunciano il blocco dell'attività del Comune di Lucca: "Pronti ad informare il prefetto"
Bilancio in ritardo che condanna il Comune all'esercizio provvisorio, venti interrogazioni e trentacinque mozioni inevase, bilancio del Teatro non pervenuto

Vannacci (Lega): "In dl Ucraina si garantisce prosecuzione di una guerra persa"
"Mentre i negoziati di pace procedono arrancando, anche per i ripetuti intralci dei volenterosi e dell'Unione europea, in Italia viene approvato il decreto legge che proroga per tutto…

Regolamento edilizio, ok il passaggio in commissione congiunta
Con tre voti favorevoli e due di astensione, la commissione consiliare urbanistica e quella statuto e regolamenti, riunite congiuntamente lunedì 22 dicembre, hanno licenziato le modifiche al regolamento edilizio proposte dall'ufficio tecnico "per allineare…

Milioni di euro in beneficenza per armare terroristi e scavare tunnel a Gaza: e mo'? Tutti zitti?
La recente emersione – in chiave giudiziaria – di come venissero utilizzati i fondi destinati a Gaza e ai palestinesi, non credo debba destare soverchia sorpresa

Un accordo tra Provincia e Comune di Lucca chiude definitivamente il contenzioso sulla spesa corrente degli edifici scolastici
Si chiude con un accordo tra la Provincia e il Comune di Lucca il decennale contenzioso sulla manutenzione degli edifici scolastici sul territorio comunale. Grazie all'intesa trovata tra…

Forza Italia Lucca, Bigongiari: «2025 anno record, siamo il secondo partito della coalizione»
Forza Italia Lucca, le conquiste del 2025 e i progetti per il 2026: “Siamo il secondo partito della coalizione. Occhi puntati sul referendum e sulle amministrative di Viareggio”

Le condoglianze del sindaco di Viareggio per la morte di don Luigi Sonnenfield
La notizia della scomparsa di don Luigi Sonnenfield mi addolora profondamente. Con lui la nostra comunità perde un punto di riferimento autentico, un sacerdote capace di unire ascolto,…

Crusade in Africa
“Crusade in Europe” è il titolo del libro di memorie di Dwight “Ike” Eisenhower, comandante in capo alleato – di qualità – durante la 2^ Guerra Mondiale e 34° presidente degli U.S.A., secondo la critica di minore qualità

Tutti i bambini sono uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri
Io sono un vecchio arnese, per questo è probabile che non sia capace di capire il perché i giudici dell’Aquila ritengano che i tre bambini della famiglia della “casa nel bosco” di Palmoli devono vivere lontani dai genitori mentre...

Mario Ferrante eletto presidente del consiglio nazionale di Libertà è Democrazia
Mario Ferrante (professore ordinario Università di Palermo Giurisprudenza delegato per i rapporti con la Chiesa Cattolica e le altre confessioni religiose e con la Curia Romana e le…

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Le aziende che svolgono commercio e attività d’impresa nel mondo, spesso non arrestano i loro tentativi d’espandere il proprio giro d’affari di fronte a situazioni di rischio dovuti a guerre, conflitti locali, situazioni d’instabilità interna. Per far ciò hanno fatto ricorso all’invio di proprio personale addetto alle vendite, alle pubbliche relazioni, o con funzioni tecniche e di progettazione, non certo in possesso di sensibilità al particolare scenario o addestramento alle tecniche militari di scampo, evasione e fuga. Le grandi imprese in genere provvedevano a costituire una struttura in grado di prender contatti con le istituzioni locali, preferibilmente con l’aiuto del nostro ministero degli esteri, e anche con warlords o soggetti locali capaci anche a tutolo privato a garantire una cornice di sicurezza. Le aziende meno articolate, o con minori disponibilità, in qualche caso non hanno fatto assolutamente nulla, nel tradizionale affidarsi allo stellone italico, o hanno fatto ricorso all’arte dell’arrangiarsi, altrettanto diffusa.
Un improvviso mutamento l’ha generato la “sentenza Bonatti”. Nel 2016 il rapimento di 4 tecnici italiani in Libia si concludeva con la morte di due di essi. In questo caso il giudice ha riconosciuto la responsabilità dei vertici della società come datori di lavoro, per non aver “preparato” il proprio personale al tipo di scenario. Non si accusava la ditta di non aver addestrato i propri uomini che, non essendo dei “Rambos”, avevano dovuto soccombere, ma di non averli proprio “preparati”. Non esisteva documentazione afferente lo svolgimento di specifici corsi, prima di essere inviati in quello scenario a rischio, ciò è stato sufficiente per una scarica di condanne.
L’Italia, paesotto – qui tale va definito – ove spesso è importante solo “mettere a posto la pratica”, ha visto risolvere immediatamente la problematica. Il personale che andava all’estero era comunque motivato dall’aspetto salariale, di norma invitante. Bastava a questo punto, prima della partenza, farlo partecipare a qualche conferenza, fornirgli qualche documento a carattere informativo, proiettargli filmati e slides in numero adeguato, e – soprattutto – fargli firmare “per presa visione” una semplice dichiarazione, e sapeva tutto di “Travel Security”
Le grandi aziende, con più mezzi e diverso peso, hanno per fortuna continuato ad operare come fatto in precedenza, mettendo da parte le dichiarazioni firmate di chi stava per partire. Quelle piccoline, purtroppo, di massima … pure. Un corso di travel security costa, e ancor di più prendere i dovuti contattati in area di crisi, comportanti a volte la necessità di “ungere” qualcuno per fruire di sicurezza degna di tale nome.
Ho trattato il problema per ragioni professionali, e per quel che ho rilevato resta la tendenza a cercare di costruire un quadro burocratico a prova di responsabilità penale. Che poi si intenda veramente incrementare la cornice di sicurezza in cui opera il nostro inviato, è un altro paio di maniche. I grandi soggetti come – per esempio – l’ENI, spendono e costruiscono una “bolla di sicurezza” di spessore, i piccoli proseguono a farsi venire i crampi per incrociare scaramanticamente le dita.
Per questo ritengo utile per il nostro “inviato all’inferno”, prima di firmare quanto di dovere per sollevare le responsabilità dei propri vertici, formarsi una propria specifica coscienza alla “Travel Security”. Non c’è molto di scritto in giro, per questo ritengo interessante il lavoro dell’ing. Fabiano Manzan, “Italian Packaging Contractors” di recente dato alle stampe. Viaggiatore d’impresa per società che piazzano sul mercato internazionale macchinari per il confezionamento, anche nei posti più caldi, ha tentato di rendere fruibile, in italiano e in inglese, le sue esperienze. Strano e vivace resoconto in cui all’iconico “veni – vidi – vici” di giuliocesariana memoria si sostituisce un sornione “mi han mandato – ho visto – non so come sia tornato”. E gli errori sono quanto di meglio sia – se si ha tempo per riunirli, teorizzarli in sistema e raccontarli – per trovare “best practices” da proporre per limare il margine fra la buona sorte e il successo pianificato. Fino a capire che il miglior modo per uscire dai guai, sia prevenire di scivolarci dentro fino ai capelli, adottando adeguate contromisure.
Lungi dal voler pubblicizzare, mi pare corretto che, seguendo le problematiche di chi è impegnato nella vigilanza e nella sicurezza private, io dedichi attenzione a chi voglia migliorare la preparazione del singolo. Del resto nella pratica addestrativa del soldato e del poliziotto, allo sforzo dell’istituzione perché apprenda tecniche e tattiche, non va disgiunto l’impegno di ciascun allievo per arricchire la propria preparazione attraverso letture, allenamento, studio, coerenti con il messaggio formativo-addestrativo che gli viene somministrato.
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Oggi è data discussa, in base alla fede politica c’è chi la vede come la fine di tutto, chi come l’inizio, ma forse potremmo ricordarla anche per qualcosa di diverso, al di fuori dei luoghi comuni, e può indurre a riflessioni.
L’8 settembre 1943 l’Italia del re Savoia e di Badoglio, suo primo ministro buono per tutte le stagioni, vide entrare in vigore l’armistizio firmato di nascosto a Cassibile il 3. In quei 5 giorni comunque tanti soldati continuarono ad essere mandati contro gli alleati a farsi uccidere, uno per tutti il pilota, asso dei “tuffatori” e pluridecorato, Giuseppe Cenni. Normale, in effetti: la firma c’era, ma cessavamo le ostilità l’8.
Re, Badoglio e rispettivi entourage lasciarono Roma, dopo che il secondo aveva emanato direttive sibilline e poco chiare alle Forze Armate. Fu un disastro per un sacco di soldati, impacchettati nei vagoni piombati e internati in Germania. Da allora chi non ama per partito preso le stellette accomuna quel simbolo allo sfascio, dimenticando con quelle 24 ore secoli di sacrifici, vittoriosi o meno, ma comunque sostenuti con dignità.
Eppure non fu dappertutto così, infatti ricordiamo i combattimenti di Roma-Porta S. Paolo, finiti peraltro con l’internamento e la sconfitta.
Non fu così in Jugoslavia, specie per le unità che costituirono la “Garibaldi”. Già, ma quella era divisione partigiana, quindi benedetta dai marziani sbarcati per liberarci dal tedesco, mentre gli alleati ballavano il boogie-woogie a Napoli.
Non fu così in Corsica ed è da lì voglio partire. Il generale Giovanni Magli, comandante il VII Corpo d’Armata che riuniva le divisioni Cremona e Friuli e altre unità di minore livello, decise che in quel marasma di ordini a metà e fughe al completo rimaneva valida una serie di concetti.
Ogni comandante ha la responsabilità dei propri uomini, e non può dire “Tutti a casa!”, uscita infelice divenuta titolo di popolare film di Alberto Sordi. Da casa li ha avuti e a casa li riporta, lui.
Lui dava ordine alle divisioni, e non chiedeva di mettere ai voti le sue decisioni.
I comandanti le divisioni comandavano le stesse, e non dovevano mettere ai voti le decisioni prese e gli ordini ricevuti.
I comandanti di reggimento a quel punto seguivano analogo criterio.
E così fino in fondo, fino al sergente e al caporal maggiore, con la loro squadra.
E le “Legioni” Camicie Nere, inserite di rinforzo alle divisioni, avrebbero dovuto adeguarsi.
Applicando il più antico dei criteri alla base di un esercito: uno dà ordini e tutti si obbedisce, quei soldati rimasero a combattere i tedeschi di stanza in Corsica e quelli provenienti dalla Sardegna. Fecero la loro parte, uccisero e caddero, ma almeno a testa alta.
Non finirono dietro un reticolato da prigionieri o internati, e buona parte fecero parte in seguito dei Gruppi di Combattimento che parteciparono alla fase conclusiva della Guerra di Liberazione. Quella portata avanti dai militari, che, come tutti sanno, non è mai avvenuta, roba da no-vax e terrapiattisti.
Non è questa la pagina per metterla in retorica. Ho scritto queste poche righe per ricordare che quel sistema riassunto nei concetti “Chi comanda se la deve sbucciare da solo, non mette nulla ai voti ma al limite sente i pareri e poi decide, non scappa e dice cosa fare” ha funzionato. Tutti hanno fatto – bene o male, ma l’esecuzione non è un problema – ciò che gli è stato detto di fare.
Magari non hanno localmente conquistato la posizione o non l’hanno tenuta, ma nel complesso sono stati una struttura che si è mossa come un corpo solo per fare ciò che era stata addestrata e equipaggiata – bene o male – per fare.
Dovremmo pensarci quando ci autoflagelliamo come italiani, che forse il vero problema non fu solo la fuga di Badoglio e del Re – che ebbero le loro colpe gravissime – ma anche di istituzioni militari ove di capi con la schiena davvero diritta forse non vi era gran copia. E di un sistema-paese dove dopo 20 anni di retorica e chiacchiere, vi erano troppi capi – con e senza stellette – che del capo nulla avevano.
Forse fu questo il grave male lasciatoci in eredità da quel periodo.
Quel generale Giovanni Magli doveva essere un’eccezione, ma è stato sufficiente a innescare un processo virtuoso, che era nelle corde dei gregari, evidentemente. L’uomo fa ciò che gli si dice di fare. Se si sa cosa fare, se si dà l’esempio, se non si sta a mettere tutto ai voti.


